CENNI STORICI
S. Faustino e S. Giovita, originari di Brescia, sono i patroni della stessa
città città.
Essi erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. La storia della loro
vita e la testimonianza del loro martirio è narrata nella "Leggenda Maior"
che racconta come presto entrarono a far parte dell'ordine equestre e divennero
cavalieri.
Inseriti in una posizione di rango nella provincia dell'antico Impero Romano,
furono convertiti, in seguito ad una lunga frequentazione, dal vescovo
Apollonio, anch'egli destinato poi alla santità. Fu proprio Sant'Apollonio a
battezzarli ed accoglierli nella comunità dei primi cristiani bresciani.
Subito attivi con la predicazione e l'esempio nell'evangelizzazione delle terre
bresciane, crebbero nella fiducia del vescovo Apollonio, che nominò Faustino
presbitero e Giovita diacono.
L'efficacia della loro azione apostolica della loro predicazione sollevò
l'avversità dei pagani, tra cui molti potenti della città che temevano la
diffusione del Cristianesimo, tanto più se promossa anche negli ambienti di
elevata posizione civile e militare.
Fu così che alcuni prestigiosi personaggi cittadini invitarono Italico, allora
governatore della Rezia, a fare definitivamente tacere i due, invocando il
mantenimento dell'ordine pubblico e l'attuazione delle direttive imperiali di
Traiano, che aveva espressamente ordinato l' inizio della terza tremenda
persecuzione.
La morte di Traiano ritardò tuttavia la repressione del governatore, che attese
la visita del nuovo imperatore Adriano a Milano per denunciare i due predicatori
come nemici dell'impero e della religione pagana.
L'imperatore ordinò a Italico di procedere nella persecuzione, intenzionato a
mantenere in tutte le province romane l'assoluta obbedienza religiosa agli dei
da cui traeva autorità e rispetto.
Italico chiese subito a Faustino e a Giovita di rinnegare la loro fede e di
sacrificare agli dei, sotto la minaccia della decapitazione. Il fermo rifiuto
dei due ne produsse l'immediata carcerazione.
L'imperatore Adriano, al ritorno da una campagna militare nelle Gallie, si fermò
a Brescia e Italico lo chiamò ancora ad occuparsi dei due cavalieri cristiani.
Adriano stesso impose a Faustino e Giovita l'atto di devozione al dio Sole.
L'ara sacrificale di questa divinità è ancora oggi conservata all'interno del
complesso monastico medioevale di Santa Giulia.
I due eroici giovani, non solo si rifiutarono, ma reagirono addirittura colpendo
la statua del dio pagano. L'imperatore ordinò perciò che fossero dati in pasto
alle belve del circo, ma le bestie feroci restarono mansuete ai piedi dei santi
che, a gran voce, invitarono alla conversione gli spettatori del macabro
spettacolo. Il miracolo accaduto nel circo spinse così molti bresciani a
proclamare la loro fede a Cristo, tra cui persino la moglie del governatore
Italico, Afra. Questa coraggiosa donna sceglierà la fedeltà a Cristo, che la
condurrà fino al martirio e alla gloria degli altari.
Gli esempi e la fermezza di Faustino e Giovita condussero persino alla
conversione di Calocero, ministro del palazzo imperiale, che rivestiva anche il
ruolo di comandante della corte pretoria. L'imperatore sentì in pericolo la sua
stessa autorità e ordinò che i giovani fossero scorticati vivi e messi al
rogo.
Il martirologio narra come il fuoco non riuscì nemmeno a lambire le vesti dei
testimoni della fede e le conversioni in città ebbero ancora più larga
diffusione, tanto che Adriano decise di portare i giovani via da Brescia.
Nel corso della prigionia a Milano le torture procedettero incessanti e
tremende, accanto al verificarsi di eventi miracolosi, quali la prodigiosa
uscita dal carcere per l'incontro e il battesimo di san Secondo. Ai due venne
inflitta anche, per spregio e umiliazione alla loro qualifica di cavalieri, il
supplizio dell'eculeo, macchina di sofferenza simile a un cavallo e usata per
disarticolare le membra.
Vista l'inutilità di ogni ferocia i due giovani santi vennero trasferiti a
Roma, dove furono ancora inutilmente offerti alle belve del Colosseo.
Mandati a Napoli con una nave, placarono una tempesta durante il viaggio.
Le torture continuarono, fino alla decisione di spingerli nel mare su una
barchetta che però venne riportata a riva dagli angeli.
L'imperatore ordinò allora di chiudere definitivamente la questione con la
condanna a morte, a Brescia, mediante decapitazione. Il prefetto imperiale,
appena nominato, fece così decapitare i due giovani eroi cristiani il 15
febbraio, poco fuori di porta Matolfa.
La sepoltura avvenne così fuori dalle mura cittadine, nel vicino cimitero di
San Latino, luogo in cui il vescovo Faustino, altro personaggio destinato a dare
onore allo stesso nome, successivamente fece edificare la chiesa di S. Faustino
ad sanguinem. Egli ordinò pure la costruzione della chiesa di Sant'Afra, che
oggi è intitolata a Sant'Angela Merici.
Le sante reliquie sono oggi conservate nella basilica dedicata ai due martiri.
Le tradizionali raffigurazioni dei due santi presentano i giovani in veste
militare romana, spesso con la spada in un pugno e la palma del martirio
nell'altra. Altre raffigurazioni li mostrano in vesti religiose, Faustino da
presbitero, Giovita da diacono.
L'esistenza dei due giovani cavalieri, convertiti al cristianesimo dai primi
evangelizzatori delle terre bresciane è storicamente certa. La loro morte viene
fatta risalire agli anni tra il 120 e il 134, al tempo di Adriano. Tuttavia
nulla prova che egli abbia mai avuto occasione di incontrarli, anche se
certamente non intervenne per impedire i numerosi episodi delle persecuzioni che
ebbero luogo nel vano tentativo di fermare la diffusione di una fede che
l'impero riteneva avversa alle istituzioni.
Il culto dei santi Faustino e a Giovita si diffuse verso l'VIII secolo. Risale a
questo periodo la narrazione leggendaria della loro coraggiosa testimonianza. I
Longobardi diffusero la devozione per i due santi in tutta l'Italia, in
particolare a Viterbo.
Brescia confermò con maggior forza il patronato dopo la prodigiosa apparizione
dei due santi sulle mura della città, nel corso dei decisivi combattimenti che
portarono i milanesi a levare un feroce assedio, il 13 dicembre 1438.
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