SANTI   FAUSTINO   E  GIOVITA       MARTIRI

PATRONI   di  MARESSO oltre alle città di : BRESCIA che ha dato i natali, PIETRADEFUSI (AV),

 SI FESTEGGIANO   il  15 Febbraio 

L' EMBLEMA  dei Martiri è la PALMA

 

RAFIGURAZIONI IMMAGIETTE

 

RAFFIGURAZIONI  IN RILIEVO

       

   GIOVITA                FAUSTINO

 

CENNI STORICI


S. Faustino e S. Giovita, originari di Brescia, sono i patroni della stessa città città.

Essi erano figli di una nobile famiglia pagana di Brescia. La storia della loro vita e la testimonianza del loro martirio è narrata nella "Leggenda Maior" che racconta come presto entrarono a far parte dell'ordine equestre e divennero cavalieri.

Inseriti in una posizione di rango nella provincia dell'antico Impero Romano, furono convertiti, in seguito ad una lunga frequentazione, dal vescovo Apollonio, anch'egli destinato poi alla santità. Fu proprio Sant'Apollonio a battezzarli ed accoglierli nella comunità dei primi cristiani bresciani.

Subito attivi con la predicazione e l'esempio nell'evangelizzazione delle terre bresciane, crebbero nella fiducia del vescovo Apollonio, che nominò Faustino presbitero e Giovita diacono.

L'efficacia della loro azione apostolica della loro predicazione sollevò l'avversità dei pagani, tra cui molti potenti della città che temevano la diffusione del Cristianesimo, tanto più se promossa anche negli ambienti di elevata posizione civile e militare.

Fu così che alcuni prestigiosi personaggi cittadini invitarono Italico, allora governatore della Rezia, a fare definitivamente tacere i due, invocando il mantenimento dell'ordine pubblico e l'attuazione delle direttive imperiali di Traiano, che aveva espressamente ordinato l' inizio della terza tremenda persecuzione.

La morte di Traiano ritardò tuttavia la repressione del governatore, che attese la visita del nuovo imperatore Adriano a Milano per denunciare i due predicatori come nemici dell'impero e della religione pagana.

L'imperatore ordinò a Italico di procedere nella persecuzione, intenzionato a mantenere in tutte le province romane l'assoluta obbedienza religiosa agli dei da cui traeva autorità e rispetto.

Italico chiese subito a Faustino e a Giovita di rinnegare la loro fede e di sacrificare agli dei, sotto la minaccia della decapitazione. Il fermo rifiuto dei due ne produsse l'immediata carcerazione.

L'imperatore Adriano, al ritorno da una campagna militare nelle Gallie, si fermò a Brescia e Italico lo chiamò ancora ad occuparsi dei due cavalieri cristiani.

Adriano stesso impose a Faustino e Giovita l'atto di devozione al dio Sole. L'ara sacrificale di questa divinità è ancora oggi conservata all'interno del complesso monastico medioevale di Santa Giulia.

I due eroici giovani, non solo si rifiutarono, ma reagirono addirittura colpendo la statua del dio pagano. L'imperatore ordinò perciò che fossero dati in pasto alle belve del circo, ma le bestie feroci restarono mansuete ai piedi dei santi che, a gran voce, invitarono alla conversione gli spettatori del macabro spettacolo. Il miracolo accaduto nel circo spinse così molti bresciani a proclamare la loro fede a Cristo, tra cui persino la moglie del governatore Italico, Afra. Questa coraggiosa donna sceglierà la fedeltà a Cristo, che la condurrà fino al martirio e alla gloria degli altari.

Gli esempi e la fermezza di Faustino e Giovita condussero persino alla conversione di Calocero, ministro del palazzo imperiale, che rivestiva anche il ruolo di comandante della corte pretoria. L'imperatore sentì in pericolo la sua stessa autorità e ordinò che i giovani fossero scorticati vivi e messi al rogo.

Il martirologio narra come il fuoco non riuscì nemmeno a lambire le vesti dei testimoni della fede e le conversioni in città ebbero ancora più larga diffusione, tanto che Adriano decise di portare i giovani via da Brescia.

Nel corso della prigionia a Milano le torture procedettero incessanti e tremende, accanto al verificarsi di eventi miracolosi, quali la prodigiosa uscita dal carcere per l'incontro e il battesimo di san Secondo. Ai due venne inflitta anche, per spregio e umiliazione alla loro qualifica di cavalieri, il supplizio dell'eculeo, macchina di sofferenza simile a un cavallo e usata per disarticolare le membra.

Vista l'inutilità di ogni ferocia i due giovani santi vennero trasferiti a Roma, dove furono ancora inutilmente offerti alle belve del Colosseo.

Mandati a Napoli con una nave, placarono una tempesta durante il viaggio.

Le torture continuarono, fino alla decisione di spingerli nel mare su una barchetta che però venne riportata a riva dagli angeli.

L'imperatore ordinò allora di chiudere definitivamente la questione con la condanna a morte, a Brescia, mediante decapitazione. Il prefetto imperiale, appena nominato, fece così decapitare i due giovani eroi cristiani il 15 febbraio, poco fuori di porta Matolfa.

La sepoltura avvenne così fuori dalle mura cittadine, nel vicino cimitero di San Latino, luogo in cui il vescovo Faustino, altro personaggio destinato a dare onore allo stesso nome, successivamente fece edificare la chiesa di S. Faustino ad sanguinem. Egli ordinò pure la costruzione della chiesa di Sant'Afra, che oggi è intitolata a Sant'Angela Merici.

Le sante reliquie sono oggi conservate nella basilica dedicata ai due martiri.

Le tradizionali raffigurazioni dei due santi presentano i giovani in veste militare romana, spesso con la spada in un pugno e la palma del martirio nell'altra. Altre raffigurazioni li mostrano in vesti religiose, Faustino da presbitero, Giovita da diacono.

L'esistenza dei due giovani cavalieri, convertiti al cristianesimo dai primi evangelizzatori delle terre bresciane è storicamente certa. La loro morte viene fatta risalire agli anni tra il 120 e il 134, al tempo di Adriano. Tuttavia nulla prova che egli abbia mai avuto occasione di incontrarli, anche se certamente non intervenne per impedire i numerosi episodi delle persecuzioni che ebbero luogo nel vano tentativo di fermare la diffusione di una fede che l'impero riteneva avversa alle istituzioni.

Il culto dei santi Faustino e a Giovita si diffuse verso l'VIII secolo. Risale a questo periodo la narrazione leggendaria della loro coraggiosa testimonianza. I Longobardi diffusero la devozione per i due santi in tutta l'Italia, in particolare a Viterbo.

Brescia confermò con maggior forza il patronato dopo la prodigiosa apparizione dei due santi sulle mura della città, nel corso dei decisivi combattimenti che portarono i milanesi a levare un feroce assedio, il 13 dicembre 1438.